La critica moderna ha confermato il racconto del Vasari che, indicando la Trasfigurazione come ultima opera di Raffaello aveva scritto: “Di sua mano, continuamente lavorando, (la) ridusse ad ultima perfezzione”.
L’opera era stata commissionata a Raffaello nel 1517 per la cattedrale di Narbona, dal card. Giulio de’ Medici. Alcuni critici hanno ipotizzato che la parte inferiore del dipinto fosse stata realizzata da allievi del maestro - da Giulio Romano - dopo la sua morte, negli anni 1520-25. E’ comunque da attribuire interamente a Raffaello l’originalissima presentazione nella stessa tavola della Trasfigurazione in alto e della scena dell’ossesso in basso; i due episodi appaiono l’uno di seguito all’altro nei vangeli.
L’originalità dell’opera consiste proprio nella tensione che viene a crearsi per la compresenza delle due parti, l’alto ed il basso, il Cristo luminoso e la zona più in ombra dell’ossesso con il quale sono rimasti gli altri nove apostoli che non sono saliti sul monte Tabor.
Un disegno preparatorio, forse non di mano di Raffaello ma certo almeno copia di un suo schizzo, riproduce probabilmente l’idea originaria, più tradizionale, con i tre apostoli della Trasfigurazione che occupano la parte bassa del disegno e l’assenza della scena dell’indemoniato. Nella versione finale ecco invece l’episodio dell’ossesso presentarsi in basso, mentre i tre apostoli che assistono alla Trasfigurazione sono più in alto, nella metà riservata al Cristo che appare nella sua luce.